PROLOGO: Phoenix, Arizona

 

Alcuni avrebbero voluto chiamarla New Phoenix, ma erano una minoranza e nel consiglio comunale e nel governo dell’Arizona e fra i superstiti della vecchia città, distrutta dal folle Maelstrom.

Su una cosa erano tutti concordi, comunque: il nome ‘Battleground’ poteva essere abbandonato, ora che i lavori procedevano più spediti che mai. Certo, la città era ancora lungi dall’essere completa, ma ogni maceria era stata rimossa, le strade erano state sistemate per prima, ed ora erano percorse da un esercito di veicoli, uomini e robot intenti alla ricostruzione. I nuovi edifici spuntavano come funghi, insieme alle aree verdi che avrebbero reso la nuova Phoenix più bella e vivibile di prima. Grazie agli accordi con aziende all’avanguardia come la REvolution e la Talon Corporation, Phoenix sarebbe risorta dalle proprie ceneri come la più moderna delle città americane.

Restava solo da stabilire come sarebbero stati ripartiti i nuovi alloggi. Per i residenti superstiti non c’era problema: loro sarebbero tornati ai vecchi indirizzi, con tutti i vantaggi delle sistemazioni nuove di zecca. La Governatrice Janet Napolitano aveva supervisionato personalmente i progetti, ed era stata categoria: niente più ‘ghetti’ per gli indiani nativi. Se qualche religioso era convinto che Phoenix fosse stata punita per i suoi peccati, allora la discriminazione sarebbe stato il primo peccato a sparire.

I rimanenti alloggi erano un altro discorso: si trattava di un affare goloso, una torta che già attraeva sciami di speculatori immobiliari.

Era anche per questo che la Governatrice aveva accettato la costituzione di un ufficio speciale per prevenire le infiltrazioni criminali nell’affare edilizio più importante…

 

 

MARVELIT presenta

I RANGERS

Episodio 25 - I Devastatori del Deserto

 

 

Erano quasi le undici di una sera insolitamente umida, almeno dato il posto. Il freddo del deserto, invece, quello c’era.

L’uomo in cappotto rabbrividì mentre si infilava in macchina. Era stato l’ultimo a lasciare l’ufficio, e perdio facevano meglio a non rompergli le pelotas fino a che non si fosse fatto le sue sei ore di sonno. Da quando era partita la storia della ricostruzione, gli ordini erano fioccati come gocce di pioggia durante un uragano. Gli straordinari si sprecavano, ma nessuno avrebbe potuto recuperarli, non fino a quando l’onda lunga fosse andata avanti.

L’unico vero vantaggio per i galoppini come lui, pensò l’uomo mentre accendeva il motore, era che di soldi ce n’erano davvero per tutti alla fine. Era quasi come lavorare in borsa, ma con meno rischi di farsi venire un infarto a 35 anni…

L’auto si mosse lungo le strade illuminate, incrociando veicoli robotizzati e squadre di robot umanoidi. L’accordo con i sindacati era stato strappato dopo lunghe giornate di contrattazione: di giorno lavoravano gli uomini, di notte le macchine, garantendo uno stipendio generoso agli uomini.

L’uomo al volante sorrise, pensando che per quanto lo riguardava, se fosse stato lui a prendere le decisioni, sarebbero stati solo i robot a lavorare. Giusto i soldi per le manutenzioni essenziali e voilà, fine dei problemi e delle lagne…

 

Giunta a destinazione, l’automobile svoltò ed entrò nel parcheggio del palazzo. I primi edifici ad essere ricostruiti erano quelli dei residenti. Ovviamente, la maggior parte degli appartamenti erano per i futuri nuovi residenti.

Spegnendo il motore, l’uomo represse un brivido. Non credeva nei fantasmi, naturalmente, ma l’idea che forse qualche cadavere, come si vociferava in giro, facesse parte delle fondamenta, be’, non lo metteva a suo agio. Sperava solo che i suoi clienti non gli facessero domande, in merito.

L’uomo sbadigliò ed uscì dalla macchina.

 

Aprì la porta del suo appartamento. Come agente immobiliare, aveva il diritto di residenza per potere gestire la ‘sua’ fetta di territorio. Un cliente si convinceva più facilmente se vedeva che il proprio agente viveva nel posto che pubblicizzava.

Per fortuna le agenzie che lavoravano su Phoenix erano poche e ben selezionate. La Governatrice esigeva che non ci fossero disparità eccessive di prezzi all’interno delle varie tipologie immobiliari. Un mercato stabile avrebbe infuso più sicurezza agli acquirenti, riducendo il rischio di lotti invenduti… A dire il vero, quella donna si stava dando parecchio da fare per mettere la camicia di forza al libero mercato, ma almeno la concorrenza era meno spietata…

L’uomo sospirò, mentre entrava in salotto. Troppa filosofia, vecchio mio. Era il momento di un bel cicchetto per propiziarsi il sonno, e poi*

I pensieri coerenti svanirono di colpo, rimpiazzati altrettanto velocemente da un senso di terrore primordiale. L’unica cosa lucida che gli venne di pensare era che alla fine lo avevano scoperto. Era solo questione di tempo, lo sapeva da quando si era imbarcato in quell’affare, ma lo stesso aveva sperato che i Rangers avessero altro da fare che stanare i pesci piccoli come lui…

Appena aveva acceso la luce, l’uomo si era trovato di fronte Corvo Nero e Red Wolf, il primo, per quanto ne sapeva, una specie di sciamano Navajo. L’altro sarà stato anche un castigamatti… Ma era il terzo ‘ospite’, Lobo, seduto accanto a Red Wolf, che gli aveva mandato il cuore in gelatina. Super o no, i due tizi in costume erano pur sempre umani, mentre con un lupo selvaggio che ti guardava come se potessi essere il suo prossimo pasto, era difficile immaginare di dialogare amabilmente…

“George Robert Wells?” fece Corvo Nero, calmo. “La stavamo aspettando. Vorremmo rivolgerle qualche domanda.” Allo stesso tempo, Red Wolf mostrò un distintivo con il simbolo delle forze di polizia speciali dell’Arizona: una classica stella dorata al cui centro spiccava l’acronimo A(Arizona)S(Special)P(Police).

La mente di Wells corse disperatamente alla parola ‘mandato’, ma sapeva che quelli dell’ASP l’avrebbero ottenuto senza problemi.

Wells si appoggiò con la schiena al muro, afflosciandosi, sentendosi vecchio di cento anni. “Ho tutto nel mio computer. La password è ‘solesplendente’, e…” Guardò i due eroi con un’ombra di speranza negli occhi. “Se collaboro, avrò uno sconto di pena?”

Red Wolf si avvicinò a Wells, torreggiando su di lui. Lobo si mise a ringhiare minacciosamente.. “Avrai il tuo sconto, e magari non lascerò che Lobo ti strappi le viscere, viso pallido. A patto che tu collabori veramente, fino all’ultima virgola. Tu stavi predisponendo delle vendite fittizie per conto di diverse famiglie criminali, di quelle che sguazzano nella droga e nella pornografia in particolare. Sono i vermi come te che hanno rovinato la mia gente, e puoi credermi: ho una gran voglia di farti…”

Ma, a quel punto, G.R. Wells, con un lamento strozzato, svenne scivolando come un tappeto posato sulla superficie sbagliata. Nell’aria si diffuse una puzza inequivocabile.

Wolf fece un paio di passi indietro, agitando l’aria davanti a sé. “Il Grande Spirito ci salvi dai codardi. Te ne occupi tu di lui?” E senza aspettare risposta, andò alla finestra. “Direi che per questa notte non dovrebbero saltarne fuori altri, di pesci piccoli.”

Corvo Nero annuì. Red Wolf aprì la finestra, e con un agile balzo, seguito da Lobo, fu fuori…

 

…e da lì, dopo una serie di capriole a mezz’aria, arrivarono a terra dopo un volo di cinque piani.

Finita la missione, Corvo Nero sarebbe andato a dormire, ma non lui. Si sentiva irrequieto, aveva bisogno di sfogare un po’ di energie. Era un vero peccato che non ci fosse qualche altro supercriminale da menare…

Lobo uggiolò, e il suo compagno gli accarezzò la testa. “Ti senti anche tu irrequieto, vero?” Si guardò intorno. Il coprifuoco era ancora in vigore, anche se i soli residenti erano per ora i politici, gli agenti di commercio e gli operai con le famiglie. Una percentuale così bassa di popolazione che era già molto se ci scappava una rissa per ubriachezza.

Quello dei cantieri era ormai diventato un rumore di fondo, una cacofonia ritmica e sterile di notte, disordinata e condita di imprecazioni e conversazioni varie di giorno. Red Wolf sorrise, ripensando ai giorni in cui lui stesso era stato un carpentiere: avrebbe volentieri scambiato l’efficienza delle macchine con la passione e la volontà degli esseri umani, tuttavia*

Lobo emise un brontolio, un verso impercettibile che chiunque altro avrebbe preso per un capriccio causale del lupo; ma non William Talltrees. L’uomo, pur mantenendo lo stesso passo e lo stesso ritmo di prima, si tese, pronto a reagire appena la causa dell’irrequietudine del suo lupo si fosse manifestata. Se si trattava di un nemico, a lui sarebbe toccato l’onere della prima mossa, credendosi in vantaggio…

Un suono di passi, da dietro l’angolo. Passi pesanti…

Quando una zaffata di vento venne dalla direzione di quei passi, Lobo annusò intensamente l’aria…e i peli sul suo collo si drizzarono. Ora ringhiava minacciosamente.

Anche Red Wolf riconobbe l’odore. Un orso?

E fu proprio quello che emerse dal suo nascondiglio: un grizzly nero, il più temuto fra tutti gli animali del nord america. Si muoveva fluido, come un’ombra. E, al suo fianco, non meno minaccioso e attento, si muoveva un uomo massiccio, coperto dalla pelle di un orso grigio così come Red Wolf indossava la sacra pelle di lupo. A sua volta, il guerriero-orso portava una robusta lancia. E nei suoi occhi c’era tutta la furia di un animale pronto a combattere fino alla morte.

“Io sono Ursa. Sei pronto ad incontrare Wakan Tanka, amico dei bianchi?” chiese con disprezzo.

 

Per Thomas Fireheart era stata un’altra giornata di duro lavoro. La neocostituita fondazione da lui voluta per il supporto economico alla futura comunità di Phoenix stava incassando parecchi favori e soci...e parecchia burocrazia, l’inevitabile tributo per volersi invischiare nella politica…

L’uomo d’affari si massaggiò le tempie, abbandonandosi contro lo schienale della poltrona. Per quanti poteri avesse affidato a Jenna, era ancora lui il CEO, l’uomo delle firme e delle decisioni finali.

Odiava quel lavoro! Odiava di dovere fingere qualcosa che lui non era. Era quella di Thomas Fireheart la sua identità segreta, la patina per nascondere la sua vera natura…

Thomas sospirò -e dire che una volta la pensava diversamente, credeva che essere un finanziere fosse la migliore applicazione dei suoi talenti, lasciando all’altro sé stesso rari momenti per soddisfare la brama della caccia nelle vesti di mercenario.

Era sicuramente per questo che le trasformazioni, allora, erano più dolorose. Erano il risultato di un conflitto interiore, mentre adesso la sua forza scorreva con facilità, quando attingeva ad essa. E più attingeva ad essa, più desiderava non tornare umano.

E questo era un problema. Il suo sensei era stato molto chiaro, in proposito: uno squilibrio fra Thomas Fireheart e Puma non poteva che causare un disastro…

“Thomas?”

Sollevò la testa. Parla del diavolo, ed eccolo -no, anzi, eccola lì: Jenna Taylor, l’unica donna che avesse accesso al suo cuore. Indossava un abito grigio, severo, e lei stessa era il ritratto della perfetta assistente, fino al tono della voce ed alla postura. Ma fuori dal lavoro, oh come sapeva essere diversa dalla regina di ghiaccio che ora lo stava interrogando con lo sguardo…

Thomas chiuse la cartella davanti a lui, la prese e si alzò in piedi. “Ho terminato con il lavoro, per oggi.” Le si avvicinò e le porse il fascicolo. Nel farlo, le sfiorò la mano tesa a prenderla. Un raro sorriso attraversò le labbra di Thomas. “Spero che ci sia ancora tempo per uno spuntino di mezzanotte.”

La donna annuì, e finalmente la sua freddezza si sciolse un po’. “Ho fatto preparare qualcosa…credo che avrebbe dovuto essere la cena.”

Thomas ridacchiò. “Andrà bene ugualmente, almeno fino a quando non avranno aperto un ristorante decente.” Poi tornò a farsi serio.”Jenna, io…c’era una cosa che volevo chiederti…”

Jenna aggrottò un sopracciglio: da quando lo conosceva, ed era da diversi anni ormai, mai una volta lo aveva sentito balbettare una frase a quel modo. La sua sicurezza interiore traspariva ogni volta che apriva bocca, anche quando era in torto. Non avrebbe mai permesso a qualcuno di percepire una debolezza od un’esitazione, neppure a lei. Fino ad ora.

Ora Thomas sembrava avere difficoltà a guardarla in volto. Le prese le spalle fra le mani. “Jenna, io…”

E in quel momento, esplose il caos! La vetrata dell’ufficio andò in pezzi; migliaia di piccoli frammenti ognuno acceso del riflesso della luna, riempirono l’aria come altrettante gocce di pioggia…mentre una figura umana faceva irruzione!

Thomas non esitò un secondo. Mentre Jenna usciva dalla stanza, con un atto di volontà l’uomo lasciò il posto alla più robusta e potente figura

di Puma! Appena in tempo per parare con una mano artigliata l’attacco di un altro arto dalle unghie lunghe ed affilate. Ruggendo, Puma scagliò il suo misterioso avversario contro la parete, con abbastanza forza da fargliela sfondare…

…Invece, quello fece una capriola ed atterrò agilmente come un gatto. “Sono felice di vedere che la tua fama è meritata, Puma,” disse, mentre la luce lunare lo illuminava, mostrando un uomo dalla testa di puma e con indosso un costume tribale rosso e oro. “Io sono il Coguaro. E questa notte vedremo chi di noi due meriterà davvero il proprio nome!”

 

I titoli di coda scorsero sullo sfondo di una musica epica, fatta di uno splendido equilibrio di cori che cantavano il nome dell’eroe del film, Sean.

Il cinema era pressoché vuoto, salvo che per due spettatori, uno dei quali si stava rumorosamente soffiando il naso con un fazzoletto. “Gesù, come adoro i film di Sergio Leone. *sniff* Come ha fatto un simile genio a nascere in Italia, resta un mistero.” Appallottolò il fazzoletto usato, e lo mise nel bicchierone king-size ormai vuoto della Coca Cola. Subito, la donna accanto all’uomo prese un altro kleenex e glielo diede, non senza lanciare un’occhiata disgustata al mucchio di fazzoletti usati.

“Allora, pupa, non puoi dirmi che in fatto di western, questo ronzino texano non abbia gusto.”

La donna, una bionda di quelle che per la strada ne fanno voltare di teste, diede un pugno alla spalla dell’uomo, che se ne stava spaparanzato con i piedi incrociati sullo schienale della poltroncina davanti a loro, e con un gran sigaro acceso in bocca.

“Ow, pupa, perché…”

Lei levò un indice ammonitore, anche se non sembrava veramente arrabbiata. “Ho un nome, Drew Daniels: Victoria, Victoria Star. Pensi di riuscire a ricordartene, considerando che dovremmo essere una coppia? E anche degli agenti di questa  Viper o come diavolo si chiama.”

“Asp, piccola.”

“Asp, sì. Diamine, mi sembra di essere in un film di Tarantino… E smettila con questi aggettivi! Insomma, ogni volta che li usi così disinvoltamente in pubblico, mi fai sentire come la ragazza del boss, non una supereroina!”

Drew tolse i piedi dalla poltrona, e le arruffò i capelli. “Insomma, Victoria: al rodeo non ti dispiaceva farti chiamare ‘piccola’…o di ancheggiare un po’ per il pubblico, se è per questo.”

Lei allungò una mano, afferrò uno dei folti baffi rossi di lui e lo tirò con forza. Drew fece un salto da fermo invidiabile. “YOWCH! Ma cosa volevi fare, depilarmi?!”

Victoria rise. “Volevo vedere se erano posticci, bambinone che non sei altro.” Poi gli posò un dito sul petto. “Quelli del rodeo erano altri tempi, e spero di poterne fare a meno, così come spero di non dovere restare una supereroina a vita.” Si alzò in piedi e si stiracchiò. “Mi piace difendere la società, ma non posso fare finta di non avere una vita fuori dal costume, Drew.”

Il texano smise la sua aria bonaria; le prese una mano. “Victoria, mi sembra di avertelo proposto, in privato: non credo che i Rangers cesseranno di esistere senza di noi. E se davvero lo vuoi, possiamo cominciare a pianificare…” La vide impallidire, e si diede dell’idiota. “Scusami, io…”

Victoria sospirò. “Fa niente.” Cercò di suonare casuale, ma di tutti gli argomenti che potevano smontare il desiderio di una vita normale, paradossalmente, era proprio quello della famiglia. Per lungo tempo, il corpo di Victoria era stato posseduto da un demone. E dopo l’esorcismo, per quanto si fosse sforzata, la donna continuava a sentirsi…impura. Una parte di lei era convinta che se avesse dato alla luce un bambino, questi non sarebbe stato umano. Era una convinzione così forte che certe volte la sola idea di fare l’amore col suo uomo la spaventava a morte… “Non è colpa tua, Drew.”

Lui scosse la testa. “Non è colpa di nessuno, piccola. Io*”

La coppia, così come ogni Rangers, aveva avuto il nuovo cinema a disposizione per ogni spettacolo che aggradasse loro, a qualunque ora -un segno di riconoscenza per tutto quello che avevano fatto e stavano facendo per Phoenix, in attesa che i clienti ritornassero a popolarlo.

C’era solo da sperare che tale sogno sopravvivesse alla nottata! Una corrente d’aria di potenza inaudita sfondò il soffitto rinforzato come se fosse stato un pezzo di compensato. L’istante successivo, Drew Daniels e Victoria Star furono avvolti da quel tornado in miniatura.

 

“Presi di sorpresa come piccioni in gabbia, Dottor Pericolo. Troppo facile!” esclamò trionfante l’uomo in un’armatura verde su cui spiccavano in giallo i simboli stilizzati delle saette. Mentre lui si reggeva grazie a potenti correnti eoliche generate dal suo potere, l’uomo al suo fianco, un individuo magro, di circa quarant’anni, con il volto solcato da rughe precoci, avvolto da un ampio mantello scarlatto, era sospeso da forze invisibili.

“Sottovalutare un nemico è il primo degli errori, Uragano. Cerca solo di farla finita il più in fretta possibile, o…”

Come a sottolineare le sue parole, in quel momento il vortice artificiale esplose. Colto di sorpresa, l’uomo di nome Uragano fu proiettato per un centinaio di metri all’indietro dalla stessa forza che fino a un attimo prima aveva tenuto sotto controllo.

Ora, davanti ai due attaccanti, invece di un uomo ed una donna inermi, si trovarono gli eroi Texas Twister e Shooting Star. E Twister, al centro del proprio vortice era davvero arrabbiato. “Bene, mammolette! Chiunque voi siate, mi avete appena rovinato un appuntamento. Spero che conosciate un buon coroner!”

 

Droga, mafie, riciclaggio di denaro sporco…e segregazione razziale per condire il tutto.

Wells non si era rivelato certo un pozzo di conoscenza, ma almeno dai suoi dati si era delineato un altro pezzo del puzzle della corruzione parallela alla ricostruzione. Stavano preparando tutto: un programma di progressiva e sistematica ghettizzazione degli indiani per ricostruire il mercato dello spaccio e del gioco d’azzardo persi con la catastrofe.

“Ma che brave persone,” commentò sardonico Jack Ironhoof, chiudendo il terminale. “Avevano persino in mente di appoggiare per bene il ritorno dei musi rossi, per avere tanti clienti… Figli di *§°£!”

Corvo Nero osservò impassibile quello sfogo, poi disse, “Ha ancora bisogno di me?”

L’Assistente Speciale fece un cenno di diniego, prima di alzarsi a sua volta. “Ah, povera schiena mia. Sto invecchiando.” Si massaggiò rapidamente le vertebre che avevano schioccato. “No, Corvo Nero. Da questo momento, questo vecchio bufalo si prende 24 ore di vacanza. Solo io e mia figlia Lila, e i pesci del Lago Silent Shore. Credete di riuscire a non fare casini in mia assenza?” Jack poteva essere un uomo letteralmente drogato di lavoro, ma era uno di quei rari drogati che capivano quando era il momento di prendersi una pausa. Il Sindaco si era quasi messo a pregarlo in ginocchio, ma Jack era stato inamovibile.

Corvo Nero lo invidiava. Anche se, nella sua posizione di sciamano, aveva fin troppo a cui pensare, come Jesse Black Crow non era che un ex-carpentiere paralizzato da un incidente di lavoro. Non aveva una famiglia, e non aveva un titolo di studio che gli potesse permettere un lavoro nelle sue condizioni…

Perdonami, Watan Tanka. Perdonami, Grande Spirito. Quelli non erano pensieri degni di lui. Non aveva accettato il manto di Corvo Nero per sfuggire ad una vita difficile, bensì per trarne il migliore uso. E mai un giorno si era pentito di quel ruolo… Cosa? Se avesse avuto delle orecchie di lupo, queste si sarebbero subito drizzate attente. Invece, fu il suo sesto senso ad avvertirlo del pericolo imminente.

Dalla finestra! “Jack, a terra!” saltò in avanti, e spinse a terra il poliziotto…proprio un attimo prima che la finestra e la parete esplodessero!

“Ma che diavolo…” Jack sollevò la testa contemporaneamente allo sciamano, nell’osservare quel disastro attraverso la fitta polvere ed il fumo. Fiammelle dai detriti di legno si innalzavano qui e là sul pavimento. “Alla Governatrice questo non piacerà affatto…”

“La tua governatrice avrà altro di cui preoccuparsi, Jack Ironhoof. Del tuo funerale, per esempio!” Una sagoma alata atterrò aggraziata nella stanza. Le ali si ripiegarono dietro la schiena.

Jack estrasse la sua pistola. Corvo Nero si mise in piedi, in posizione di combattimento.

L’attaccante emerse dal fumo. Era una donna, in un elegante costume-armatura da uccello, con un elmo a forma di testa di corvo. La visiera chiusa nel becco spalancato lasciava appena vedere il volto di lei. “Ma ti prometto che Corvo Rosso ti lascerà abbastanza perché tua figlia ti possa riconoscere, all’obitorio.”

 

Villaggio di Chilada

 

L’uomo in un costume blu e bianco, decorato da un ampio e folto casco di penne d’aquila che gli arrivava fino alle caviglie, sedeva su una roccia, in un punto che sovrastava il villaggio fantasma, che ancora per poco avrebbe fatto da base per i Rangers.

Aquila Americana stringeva fra le mani una lettera di suo zio, dalla riserva che era la sua casa.

Tutto andava bene, scriveva lo zio. Sapere quanto importante era diventato il lavoro di Aquila Americana non solo in Arizona, ma per i media, stava facendo una grande pubblicità ai nativi. I Rangers erano, in un modo o nell’altro, il più grande veicolo pubblicitario per la causa degli indiani. Per le loro speranze.

Aquila ripiegò la lettera e la mise nella sua borsa delle medicine che portava alla cintura. Sorrise, un sorriso velato di ironia: aveva avuto paura di essere fuggito dalle proprie responsabilità come capotribù, e invece si era scoperto campione a tutti gli effetti, con una responsabilità anche maggiore.

I parenti gli chiedevano in gran coro di apparire presso le loro autorità, insieme agli altri Rangers. Avrebbe dovuto seriamente considerare di accettare la proposta, anche se di sicuro non avrebbe accettato di fare un tour della Nazione Indiana. Lui combatteva per la pace fra bianchi e nativi, non per farsi pubblicità, ed era sicuro che anche gli altri la pensavano…

Qualcosa lo colpì alle spalle! E lo fece con una violenza tale da mandarlo al tappeto come se fosse stato un gracile bambino e non certo un super-essere con la forza dell’X-Man Colosso!

“Che piccolo, patetico guerriero!” esclamò con disprezzo un gigante d’uomo, un nativo alto tre metri, una massa di muscoli dipinto dei colori di guerra. “Non sei degno di combattere contro Quercia Torreggiante.”

 

L’allarme risuonò nei sotterranei della ex-base dei Rangers. A rispondere immediatamente furono i due che avevano il turno di riposo: Firebird e Phantom Rider.

“Cosa succede?” fece Bonita Juarez, ed ebbe risposta osservando lo schermo. “Chi è quello?”

Al suo fianco apparve l’ologramma di un uomo in camice: Jason Dean, defunto scienziato dell’AIM e padre di Shooting Star. “Non compare nel mio database; secondo i sensori, si tratta di un mutante. Firebird, Rider…”

Sullo schermo, Quercia Torreggiante aveva preso ad infierire su Aquila Americana con pugni capaci di spezzare la roccia.

Banshee!” chiamò il bianco cavaliere, e in un istante apparve il cavallo fantasma che in vita appartenne al suo antenato. Phantom Rider saltò in sella, e il cavallo, con un nitrito, spiccò un salto che lo portò verso il soffitto, ed attraverso di esso.

Firebird corse verso l’ascensore. Solo dopo che vi fu entrata e le porte si furono chiuse, un nuovo allarme risuonò per la sala degli elaboratori…

 

Phantom Rider e Banshee emersero dal suolo. “Aquila!” esclamò lo spettrale cavaliere, già correndo contro Quercia Torreggiante…un attimo prima di venire investito da una vampata di fuoco alla schiena! Rider urlò, e cadde a terra. Banshee si mise subito al suo fianco per proteggerlo.

Dolorosamente, la schiena fumante, Hamilton Slade cerco di sollevarsi. L’ho sentito. Ero nella mia forma spettrale e l’ho sentito. Come..? Sollevò lo sguardo, ed ebbe la sua risposta.

Davanti a lui si stagliava un uomo a cavallo, se un uomo c’era sotto il cappuccio che lasciava vedere solo un paio di occhi fiammeggianti, così come fiammeggiante era tutta la sua figura e quella del nero cavallo infernale, dai canini appuntiti che sporgevano dalle mascelle come pugnali. Dove gli occhi del cavallo erano pozze di sangue ribollente, quelli del suo cavaliere in rosso erano scintille intense, come soli in miniatura.

“Sono il tuo destino, Hamilton Slade,” disse l’essere, con una voce agghiacciante. “Sono Devil Rider!”

 

La porta dell’ascensore si aprì. Il corpo di Firebird si accese delle cosmiche fiamme del suo potere…e fu investita in pieno da un colpo di energie mistiche. Arrivò troppo velocemente, troppo potente per reagire…

Mentre l’eroina cadeva a terra, svenuta, la causa di quell’attacco, un indiano con indosso i colori ed il costume di uno sciamano Navajo, osservava soddisfatto il risultato del suo operato. Sì, Stella Fiammeggiante aveva reso onore al proprio nome!

 

Poteva fare uno strano effetto, vedere sdraiati nello stesso letto -fra parentesi, un modello speciale rinforzato fatto su misura- una donna in camice da notte e…una specie di drago antropomorfo alto tre metri, dalla pelle verde striata di rosso. Ancora più strano poteva essere vederli intenti in un tenero abbraccio, con lei che sembrava scomparire nel corpo di quell’enorme maschio.

E difficilmente qualcuno, a prima vista, avrebbe creduto che i due erano moglie e marito… Ma non era sempre stato così. Fino a poco tempo addietro, lui era un uomo, Jonaton Earthgreen, un poliziotto nativo, che si batteva per la legge, l’ordine e fare quadrare i conti. Poi, una serie di circostanze lo avevano spinto a sacrificare la propria vita umana[i] per possedere il corpo di Raptor il Rinnegato ed impedirgli di distruggere la città. Purtroppo, tale processo era irreversibile…

“Credi che Jerry vorrà mai perdonarmi?” chiese Jonaton, sospirando, accarezzando i capelli di sua moglie con una mano artigliata che le avvolgeva d’un colpo tutta la testa -doveva sforzarsi di essere delicato, con lei. Con un minimo sforzo, avrebbe potuto schiacciarle il cranio come un uovo. Almeno, il suo corpo non era insensibile al tocco di lei…e questo aggiungeva non poco alla frustrazione. Dio, come entrambi desideravano conforto nel fare l’amore…e lui avrebbe potuto perfino ucciderla in quel modo!

Tabby scosse la testa, tenendola premuta contro il petto di lui, scoprendosi piacevolmente confortata dal ritmico battito dei due cuori di quel nuovo corpo. “Non è arrabbiato con te, sciocco testone: ha solo paura di perderti ancora, soprattutto ora che stai con i Rangers. Non è che adesso uno stupratore sia la tua massima preoccupazione…” E anche lei era preoccupata, molto preoccupata. Ma non avrebbe aggiunto anche sé stessa come fardello sulle spalle del marito. Lui stava già soffrendo tanto per la propria situazione, e lei gli sarebbe stata di conforto come gli aveva promesso il giorno delle nozze…

“Avete ragione,” disse Jonaton. “Ci sarà da combattere dure battaglie, ma non posso neppure dimenticare che se non fosse stato per quella gente, ci sarebbero molti più morti a Phoenix…” Baciarla, baciarla, dannazione! Con quella…quella specie di becco o muso o che, come faceva a darle anche solo un bacio?! E poi l’odore, maledizione! Con quel promontorio che si ritrovava poteva sentire gli odori di sua moglie come mai prima, e....

“Caro..?”

Si scoprì ad ansimare come un mantice, teso come una corda di violino, fissandola in modo inequivocabile. Subito sciolse l’abbraccio, e si mise seduto, scuotendo la testa. “Nulla, nulla. Io…”

E in quel momento, l’urlo squarciò la quiete della sera. “Papà!

Jerry!!” Raptor uscì dalla stanza con una tale furia, che il pavimento tremò sotto i suoi passi. “Arrivo, figliolo!” ruggì con la voce che istintivamente avrebbe usato per consolarlo, e che invece sfociò in un tono tale da terrorizzare un branco di coguari. La stanza di Jerry era in fondo al corridoio, e lui la raggiunse con un balzo.

Sfondò la porta senza il minimo sforzo…e si trovò davanti ad un incubo!

“Benvenuto, bruto,” disse, con voce metallica, una creatura avvolta da un ampio mantello azzurro. Una mano crepitante di energie era puntata su Raptor. L’altra stringeva un inerte Jerry per la collottola del pigiama. Come la testa, gli arti erano entrambi di metallo, così bene modellato da sembrare elastica carne del colore dell’acciaio. “Per la cronaca, io sono Iron Mask, e tu sei morto!”

Tu lo sei!!” Raptor scattò in avanti, incarnazione della furia primordiale. Iron Mask  non ne fu minimamente impressionato. A metà del salto del suo avversario, dalla mano sollevata lanciò un colpo di plasma, mentre gettava Jerry sul letto. Raptor fu colpito in pieno, ed emise un verso strozzato, mentre la forza del colpo lo proiettava all’indietro e lungo tutto il corridoio, fino alla scala.

Il rettiliano rotolò lungo le scale, e si fermò rovinosamente a terra, il petto fumante là dove era stato colpito. Respirava affannosamente.

Iron Mask  apparve in cima alle scale. “Hai resistito bene…ma a questo non potrai sopravvivere.” La mano robotica puntò all’indirizzo della testa. Aprendo gli occhi, Jonaton capì che non ce l’avrebbe fatta a scansare quell’attacco…

 

“Mi sta dicendo che questo maledetto attacco è concertato? Che siamo abbandonati a noi stessi, ora?”

In risposta alla domanda di Johnny ‘Coyote’ Cash, la struttura della base tremò ancora una volta. “Ma come fa ad essere così calmo, dannazione?!” urlacchiò l’indiano, e lanciò un’occhiata angosciata alla struttura dalla forma umanoide che si ergeva in un angolo, circondata da una ragnatela di cavi, tubi e pannelli. “Ed ero così vicino a terminarlo…”

Una nuova esplosione. Questa volta, crepe apparvero nel soffitto, e polvere cadde a pioggia nell’ambiente.

“Di quanto tempo hai ancora bisogno?” chiese l’ologramma di Dean.

“Non tanto, se ci do dentro come una formica…ma non dovrà succedere…” altra esplosione. Altra polvere. “Ecco, niente del genere, capo.”

 

Un minijet che ricordava una sorta di aquila stilizzata volava sopra la collina che dominava Chilada. Ad ogni passaggio sulle rovine che erano state la base dei Rangers, partiva una nuova raffica di missili piccoli nelle dimensioni, ma potenti negli effetti!

Ai piedi della collina, invece si muovevano due robot di dimensioni umane, uno intento a colpire il suolo con pugni abbastanza poderosi da fare tremare il suolo, e l’altro contribuire con colpi ottici non meno potenti.

“Continua così,” urlava dentro di loro la voce di Iron Mask. “Insisti fino a distruggere del tutto le loro ridicole difese, Totem Vivente! Continua, e presto i segreti della loro base apparterranno ai Desert Razers, i Devastatori del Deserto!”

E da come si presentava il quadro, la vittoria sembrava davvero a portata di mano!



[i] Ep. #23